
Mondadori
2015
208
Come sappiamo, pure in Italia, da anni, siamo prede di questo virus suadente e perverso. Basta navigare in rete, fermarsi in qualche network professionale, dare un’occhiata ai titoli dei corsi proposti o dei libri che invadono il settore “psico” e “fai-da-te” delle librerie, virtuali e non, leggere le promesse via web dei tanti “life coach” nati come funghi: è tutto un tentativo di dolce seduzione. La competizione è sul numero delle “mosse” che vengono garantite come risolutive: vince chi ne promette meno, ma la felicità è comunque assicurata. Basta crederci, volere è potere.
Oliver Burkeman, l’autore inglese di La legge del contrario, merita un applauso: è un giornalista serio, curioso, che ama dubitare e problematizzare e non si accontenta delle affermazioni-slogan alla moda. Anzi, queste sono per lui uno stimolo per risalire contro corrente e svelare, in questo caso, con chiarezza e stile accattivante, il limite e l’inconsistenza dei luoghi comuni che puntano sul bicchiere sempre pieno e ti colpevolizzano se lo vedi pieno per quello che è. Così, su questo tema dell’ottimismo prescritto, e sempre un po’ beotamente onnipotente, Burkeman si è messo in viaggio, sia metaforico che fisico, e ha recuperato pensieri “vecchi” della filosofia classica e pensieri recenti di psicologi, consulenti, maestri spirituali, perfino esperti di terrorismo, ascoltati in colloqui faccia a faccia ricchi di spunti.
Ne è nato un saggio prezioso, insieme serio e divulgativo: che sa unire leggerezza a profondità e non prescrive tecniche o comandamenti, ma induce alla riflessione, proponendo stimoli controintuitivi capaci di ribaltare le visioni consolidate che debbono sempre essere color rosa zucchero, scoprendone l’infondatezza.
Lo stile piano, ironico, qua e là aneddotico come ormai usa nella saggistica popolare di buon livello, è il carburante che ci fa correre le pagine: i punti da chiosare, per non dimenticare o riprendere in un secondo tempo e approfondire, non si contano, ed è così che godimento e apprendimento diventano sinonimi. Sempre se si sa governare, almeno un po’, quella sana incertezza, o “capacità negativa”, che vaccina dai catechismi rassicuratori. I quali sono in grado di illudere facendo semplice la complessità, e magari manualizzandola, ma appunto perciò sono inadatti a parlare della vita. E, soprattutto, ad aiutarci a “vivere”.